di Silvio Pozzani
Di Giuseppe Bandi (1834-1894) sono note le vicende biografiche, racchiuse nell’arco di sessant’anni. Patriota fervido, intellettuale, ma anche uomo d’azione, seppe unire a queste doti quelle di scrittore efficace e di giornalista di razza (1).
Su di lui, come per tanti altri autori del nostro Ottocento, è calato da troppo tempo un velo di silenzio e di oblio che l’Italia odierna, di tutto dimentica, fin di se stessa, non sembra intenzionata a diradare.
Eppure le pagine del suo libro più celebre, in cui rievoca, con arguzia e immediatezza toscana, le vicende della Spedizione dei Mille, di cui era stato privilegiato testimone, quale Ufficiale d’Ordinanza di Garibaldi e quindi con lui a stretto contatto giornaliero, ancor oggi possono istruire e divertire quanti decidono di leggerle senza essere prevenuti(2).
L’autore de I Mille (questo il titolo del libro) era nato a Gavorrano, in provincia di Grosseto, nel 1834. Studente di Legge a Siena e a Firenze, aveva da subito entusiasticamente aderito alle idealità repubblicane di Mazzini, incorrendo nei rigori della polizia del Granducato, che lo arrestò ed incarcerò, dopo il fallito tentativo insurrezionale di Livorno che, con Genova, avrebbe dovuto, nel giugno 1857, coadiuvare la spedizione di Carlo Pisacane nel Meridione d ‘Italia, che ebbe invece, com’è noto, tragico esito (3).
La rivoluzione del 1859 in Toscana, estesasi poi a Bologna, Modena e alle Romagne, lo trasse fuori dalla prigione di Portoferraio, per rivederlo volontario nell’Esercito dell’Italia Centrale, alle dirette dipendenze di Garibaldi, divenuto Generale nella nuova realtà politica che la Seconda Guerra d’Indipendenza, seppur interrotta a Villafranca, aveva realizzato nelle contrade dell’Italia già pontificia e granducale (4).
Ma, quando il Condottiero dei “Cacciatori delle Alpi” si dimise, per gli ostacoli che gli impedivano di invadere lo Stato Pontificio, limitrofo ai territori già liberati, ma allora interdetto dalla diplomazia franco-piemontese e si ritirò a Caprera, il Bandi decise di arruolarsi, con il grado di Sottotenente, nel 34° Reggimento di Fanteria del Regio Esercito Sardo (5).
Ad Alessandria, dove era di guarnigione il suo reparto, lo raggiunse nell’aprile del 1860, la chiamata di Garibaldi a Genova, dove si stava apprestando la Spedizione in Sicilia, cui immediatamente affermativamente rispose e fu così dei Mille, per tutta la Campagna, da Quarto al Volturno, come felicemente narrò nel suo libro più famoso, dapprima uscito a puntate su alcune testate giornalistiche e finalmente raccolto postumo in volume, dall’editore Salani, nel 1902 (6).
Dopo lo scioglimento dell’Armata garibaldina, al Bandi fu concesso di rientrare nel Regio Esercito, divenuto Italiano con il 1861, superando ogni esame e conservando lo stesso grado di Maggiore che aveva conseguito fra le Camicie Rosse, ma subendo le diffidenze e i sospetti che allora, nell’ambiente militare, circondavano tutti gli elementi che provenivano dai ranghi dei volontari garibaldini.
Anche il ferimento di Garibaldi nell’eccidio di Aspromonte (1862) non contribuì certo ad appianare i dissidi e le lacerazioni conseguenti, tanto da indurre il Bandi a lasciare già alla fine degli anni sessanta, l’Esercito(7) e a riprendere la penna come giornalista e polemista appassionato, fino ad incappare, per le sue prese di posizione, nel risentimento degli anarchici e nel pugnale omicida di uno di essi, che lo uccise, nel 1894 (8).
Nel 1866, però, allo scoppio della Terza Guerra d’Indipendenza, che vide il neonato Regno d ‘Italia scendere in campo ancora una volta contro l ‘Austria, in alleanza con la Prussia bismarchiana, il Bandi era Maggiore, in servizio come comandante del 2° Battaglione del 44° Reggimento Fanteria della Brigata Forlì e valorosamente combatté, alla testa dei suoi soldati, nella giornata di Custoza (24 giugno 1866), in uno dei tanti, luminosi, episodi di valore italiano in quella battaglia così sfortunata per le armi nostre (9).
Il Bandi, con il suo Battaglione, nel generale sbandamento della ritirata, sul far della sera, si diresse verso Valeggio in cerca del suo Reggimento; la calca dei fuggiaschi minacciava però di travolgere ogni ordine ed egli, allora, diede l’ordine di avanzare a ranghi serrati, con la baionetta inastata e i tamburi battenti, gridando a gran voce agli sbandati di unirsi a lui e riuscendo così a raccoglierne non pochi; quindi, dopo aver inizialmente preso posizione a Fornelli, si diresse verso Monte Vento, senza incontrare il nemico; ritornato a Valeggio, ricevette dal Generale Sirtori ( un altro dei Mille) l’ordine di tenere il ponte sul Mincio a Borghetto, a ogni costo e di distruggerlo di fronte a soverchianti forze nemiche; fedele a tale consegna, il Bandi non si limitò a tenere il ponte, ma da Valeggio si spinse arditamente avanti, sfidando gli Austriaci vincitori (10).
Solo l’espresso ordine di ritirarsi, dato da Nino Bixio, indusse a ciò il Bandi; ma fu solo grazie alla sua testardaggine che la Divisione Govone, già duramente provata a Custoza, poté ritirarsi e raggiungere il resto dell’Esercito italiano, aldilà del Mincio, sul ponte così saldamente tenuto (11).
Uno scrittore contemporaneo, Luciano Bianciardi conterraneo di Bandi, in un romanzo a lui dedicato, così immaginò l’incontro diretto del nostro eroe con Bixio: “Nino Bixio m’aspettava al ponte.
“Matto” mi disse quando gli fui dinanzi. “Dove volevi andare?”
“A Verona” risposi.
“Bravo, così tra un’ora avevi addosso quattro brigate austriache. Va’, va’ che questi son sogni da poeta. Dammi retta, smetti la sciabola e piglia in mano la penna, che è quello il mestiere tuo” (12).
L’esortazione del Bixio di Bianciardi era stata effettivamente raccolta dal reduce Bandi: alla fine del 1866, usciva infatti a Prato, per l’editore Giachetti, un suo romanzo, Da Custoza in Croazia. Memorie d’un prigioniero, pubblicato anonimo, perché l’autore, che non era certo stato fatto prigioniero, non voleva assolutamente che tale si credesse e per i giudizi da lui espressi nel testo, per niente lusinghieri nei confronti di chi, a lui superiore in grado, aveva avuto la responsabilità di condurre gli italiani nella giornata di Custoza e l’aveva fatto con fiacchezza e imprudenza (13).
L’autore (non più questa volta anonimo), nella seconda edizione del suo libro così aveva avvertito il lettore: “Questo breve racconto fu da me scritto ne’ riposi notturni e diurni che ci concedeva Marte, mutato in bighellone, mentre i battaglioni della giovine Italia marciavano a grosse o a piccole giornate dal Mincio a Parma, da Parma a Ferrara, da Ferrara a Rovigo, da Rovigo a Treviso, e di qui al Tagliamento e poi dal Tagliamento alla Mira, senza mai incontrare una zucca tedesca su cui incidere colla punta della bajonetta la parola “rivincita”. (14); e aggiungeva: “Del resto, se il libro non dispiacque al pubblico, trovò nemici accaniti e bestiali in certi uomini che spadroneggiavano allora nell’esercito e furono cagione massima della… poco lieta sorte (dirò così) che avemmo a Custoza; e costoro mi tiraron forte alle gambe e mi fecero ingoiare parecchi bocconi amari, de’ quali prego Dio che renda loro il dovuto merito in questo mondo o nell’altro, perché sarebbe ingiustizia ch’e’ dormissero in pace, quaggiù e ridessero spensieratamente lassù, dove il riso è eterno e non cuoce mai.” (15).
L’immagine finale, che induce al sorriso, non vale a celare la virulenza del sentimento che lo scorrere del tempo non era evidentemente riuscito ad attenuare nello scrittore, né tantomeno a sconfessare la decisione che aveva preso, allontanandosi dai ranghi dell’Esercito.
Vorremmo comunque concludere, rilevando un dato che ci appare notevole: scrive ancora il Bandi su quanto intendeva narrare: “Il racconto è messo in bocca ad un bravo giovine pistoiese, che si batté da valentuomo e poi rimase prigione per maledetta necessità, e tornando quindi al reggimento, raccontommi per filo e per segno ciò che gli accadde durante la battaglia e durante il viaggio doloroso e durante la prigionia” (16).
Un Ufficiale, un Capitano, questo “giovine pistoiese”, come si rivela nelle prime scene del romanzo, in prima persona: “Stavamo già da due ore chiusi nella cascina ove ci difendevamo quasi senza speranza, giacché dal momento in cui fummo divisi dal battaglione, la prima linea del nemico ne aveva, con rapido avanzarsi, separati affatto dai nostri”.(17); e che descrive la strenua difesa di questa cascina da parte di un pugno di italiani, Ufficiali, Sottufficiali e semplici soldati che, nel corso della giornata di Custoza, vi avevano trovato rifugio; né più né meno di quanto era accaduto, quel 24 giugno 1866, alla Cascina Benati di Oliosi, nei dintorni di Castelnuovo del Garda nel veronese, in uno dei più fulgidi episodi d’eroismo sfortunato. Il gruppo dei difensori custodiva la Bandiera del 44° Reggimento Fanteria e per metterla in salvo, ne lacerarono il panno e ognuno se ne nascose un brano addosso; il trofeo metallico venne messo sotto le ceneri, morte, del focolare; l’asta, rotta anch’essa in più parti, venne nascosta sotto il camino.
Dopo la resa cui furono costretti, gli austriaci, stupiti dell’esiguità del loro numero (in tutto, 38 uomini) espressero, per bocca del loro Comandante, Colonnello Barone Attemps, la loro ammirazione con queste parole: “Bravi! Bravi! Vi siete difesi da leoni!” (18).
La Bandiera, ricomposta e restituita, con cerimonia solenne, alla fine della guerra, da quei prodi che l’avevano così custodita, era quella stessa del Reggimento cui appartenne il Bandi nel 1866 e il fatto doveva essere noto (19); per questo fu da lui scelto come inizio del suo romanzo, oggi del tutto obliato.
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Cfr., su di lui, la voce di S. CAMERANI, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. V, 1963, pp. 675-677.
Cfr., G. MARIANI (a cura di), Antologia di scrittori garibaldini, Bologna, Cappelli, 1962, pp. 124-127.
A. CRISTOFANINI, Giuseppe Bandi. Vita aneddotica, Firenze, Bemporad, 1934, pp. 15-29.
Op. cit., pp.31-63.
Op. cit., 64-65.
G. MARIANI, op. cit., p. 126. Sul Bandi garibaldino nel 1860, cfr. A. CRISTOFANINI, op. cit., pp. 55-129.
A. CRISTOFANINI, op. cit., pp. 131-165.
Op. cit., pp. 273-275.
Vasta è la bibliografia sull’argomento; più recentemente cfr. C. SALETTI – R. SOLIERI, Il giorno della gran battaglia. Il 24 giugno 1866 a Custoza, Créa, Custoza, 2016 e C. SALETTI, Nel mentre e dopo la battaglia di Custoza. Uomini, luoghi, oggetti del paesaggio di guerra, in F. MELOTTO (a cura di), 1866. Il Veneto all’Italia, Verona, Cierre, 2018, pp. 87-137.
10) A. CRISTOFANINI, op. cit., pp. 143-146.
11) Op. cit., p. 147.
12) L. BIANCIARDI, La battaglia soda, Milano, Rizzoli, 1964, p. 185.
13) A. CRISTOFANINI, op. cit., pp. 165-166.
14) G. BANDI, Da Custoza in Croazia. Memorie d’un prigioniero, Livorno, Tipografia
della Gazzetta Livornese, 1879, p. 1.
15) Op. cit., p. 2.
16) Op. cit., pp. 3-4.
17) Op. cit., p. 6.
18) Q. CENNI , Custoza 1848-1866, Milano, Vallardi, 1878, pp. 10-12. Cfr., più
recentemente, S. POZZANI, Il Tricolore, nel veronese: da Arcole (1796) a Custoza
(1866), in G. VOLPATO (a cura di), Il Tricolore d’Italia da Arcole all’Unità. Atti
del Convegno tenuto ad Arcole, 30 maggio 1998, Comune di Arcole (VR),
1999, pp. 42-43.
19) Sull’argomento, cfr., G. BERNARDI, La Bandiera di Oliosi, Comune e Associazione
Pro Loco di Castelnuovo del Garda (VR), 2001.